Celebriamo la Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, luogo dove il Figlio di Dio continua ad incarnarsi, cioè ad assumere la natura umana, a diventare uomo nella logica dell’apprendimento dell’umano e di ciò che comporta essere di un popolo, di una storia, di una famiglia.
È un tempo lungo, durato trent’anni, i trent’anni della vita nascosta e silenziosa di Gesù a Nazareth con la sua famiglia; è il tempo del mistero, un tempo da contemplare e da cui imparare.
È anche il tempo in cui sono sbocciate le parole, le immagini, gli sguardi, i sentimenti di Gesù: è nella casa di Nazaret che Gesù ha imparato le parole, la gioia del sorriso, ha imparato a conoscere la forza del lievito, la letizia della pesca abbondante, la fatica del lavoro, l’accoglienza degli ultimi, la serenità dell’amicizia e il calore dell’amore. Proprio a Nazaret per trent’anni ha imparato ad ascoltare la Parola, ha imparato a pregare, ha ascoltato da Giuseppe la storia d’Israele e la benevolenza del Padre che trae dalla schiavitù il suo popolo e lo educa alla libertà, un Dio che annunzia un mondo nuovo fondato sulla giustizia e sull’amore. E da Maria ha imparato l’ascolto e l’obbedienza, la forza della contemplazione e la costanza nella preghiera, ha imparato l’accoglienza dei piccoli e la speranza degli ultimi, l’esultanza dello spirito e la gioia delle piccole cose…
È questa esperienza dinamica, profonda, reale e umana quella che volgiamo contemplare in questa festa della Santa Famiglia.
Una esperienza che anche per Maria e Giuseppe inizia con l’accoglienza del dono del figlio e che nella fede essi colgono anche come dono per tutta l’umanità; un figlio che devono crescere e imparare ad offrire, come i due colombi nel giorno della Presentazione del bambino al tempio; un figlio a cui trasmettere la fede dei padri ma di cui farsi gioiosamente discepoli …
E così a Nazaret Gesù si immerge nel tessuto quotidiano di un villaggio e assieme a Maria e a Giuseppe, nello scorrere dei giorni egli cresce “in sapienza e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini”.
A Gerusalemme il Bambino viene affidato per la benedizione alle braccia del vecchio Simeone e dell’anziana profetessa Anna, due figure che ci insegnano la pazienza e la speranza. La pazienza di maturare, di attendere, di desiderare, di impegnarsi ancora; la speranza nel dolore, nell’aridità e nelle fatiche della vecchiaia; la speranza nella solitudine della vedovanza (Anna) e nella fiducia alla preghiera, nell’andare alla presenza del Signore nel tempio … Sono anziani che sembrano guardare e pensare non al passato ma solo al futuro: un figlio che nascerà, un Messia che verrà. Sono persone educate dal tempo a dare tempo alle promesse di Dio, a riconoscere in ciò che accade il passaggio del Signore. Sono persone che sanno abbandonare e abbandonarsi nella fiducia, non nella rassegnazione, o nella paura, nel risentimento: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace…»…
È il compimento di una vita vissuta in pianezza, secondo Dio.
PREGHIERA
Simeone ed Anna sono il simbolo del tuo popolo, Gesù; nel tempio, la casa del Padre tuo, ti riconoscono come l’Atteso, l’Inviato di Dio, il suo Messia. Nei loro gesti e nelle loro parole si esprime la stessa fiducia di Abramo che mai ha dubitato delle promesse ricevute. E la loro gioia fa eco alla gioia di tutti coloro che nei secoli costituiscono il popolo dei credenti. Così sono entrati in un disegno che li supera e hanno vissuto l’avventura di chi si lascia guidare dallo Spirito. Assieme a loro anche noi cantiamo la nostra gratitudine e facciamo fiorire sulle nostre labbra il canto di una lode senza fine. Benedetto sei tu, Gesù, venuto a legarti con l’umanità in un’alleanza eterna. Benedetto sei tu, Dio Padre nostro, che ci chiami ad essere tuoi figli, tua famiglia mettendoci il dono del tuo figlio Gesù nelle nostre fragili mani per farlo crescere in noi, figlio della nostra stessa vita e della nostra storia.
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