Mentre contempliamo la famiglia di Gesù, il nostro pensiero corre subito alle nostre famiglie e al loro ruolo nella vita di fede dei figli. I genitori sono infatti chiamati non solo a destare, e a trasmettere la loro fede in Cristo, ma anche a condividerla e a viverla nel tessuto della vita quotidiana. Parrebbe questa una missione fallimentare agli occhi di molti, una chimera per tanti genitori e figli; un percorso possibile anche se difficile per chi ci prova.

La festa odierna ci aiuta a cogliere il ruolo della famiglia in ordine alla fede perché si possano imboccare vie antiche ed inventarne di nuove.

Vivere la genitorialità come dono non è facile; altrettanto considerare il figlio non un possesso ma un dono, un essere del tutto originale, da crescere e preparare alla vita, aiutandolo a discernere la chiamata di Dio e disposti a rispettarla in ogni caso.

È quanto con estrema chiarezza ci suggeriscono Giuseppe e Maria nei confronti di Gesù; a lui hanno permesso di vivere, crescere, sentirsi amato e orientato, educato anche ad amare Dio e quanto Egli aveva fatto e promesso al suo popolo.

Anche Maria e Giuseppe imparano dal figlio; accettano di conoscerlo un po’ alla volta, passando attraverso ansie ed inquietudini, accettano di fare scelte significative per lui e per il suo bene, aiutare a far sì che questo figlio realizzi la sua missione.

Tutto ciò fa approdare a ciò che conta: fare ognuno la sua parte, come genitori o come figli, accogliendo e realizzando il progetto di Dio. Che, inevitabilmente, è per ognuno fonte di sorpresa.

«Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso». Ci sono tempi diversi nella vita e nella fede. Gesù li rispetta e ci insegna a farlo. C’è la “casa di Nazareth”, il luogo dell’obbedienza e della prossimità nascosta alla vita della gente, il luogo in cui crescere «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini», e c’è la “casa del Padre”, il suo progetto, la missione affidatagli, che non possono essere dimenticati. L’una e l’altra hanno le loro esigenze, ma non sono in contrasto tra loro. C’è il tempo in cui accogliere un insegnamento e un esempio e accettare di essere guidati sulle vie degli uomini e su quelle di Dio. E c’è un tempo in cui assumere le proprie responsabilità e affrontare il proprio viaggio, senza timori, facendo tesoro di quello che si è ricevuto.

C’è un tempo in cui l’autorità dei genitori si assume il compito di educare gradualmente alla libertà il proprio figlio, presentandogli diritti e doveri, che domandano di essere rispettati. E c’è un tempo in cui quella libertà, resa solida e sicura, si deve cimentare con i compiti, le fatiche ed i rischi che comporta la propria vocazione.

Questo vale anche per la fede. C’è un tempo in cui offrire quel tesoro che abbiamo a nostra volta ricevuto; ed in quel tempo chiedere e talora esigere la partecipazione a riti e parole che scandiscono la vita di fede. E c’è un tempo in cui accettare, con semplicità e senza inutili sensi di colpa, che ognuno esprima un’adesione libera e cosciente o addirittura un rifiuto.

Che cosa si chiede ai genitori? Di fare la loro parte, con impegno e saggezza, esponendosi in prima persona e accettando di attraversare, proprio come Maria e Giuseppe, i momenti in cui non si comprende.



 

 

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