Quarta Domenica di Quaresima
Nell'abbraccio del Padre
Non ci sembra vero, anzi ci pare proprio impossibile che Dio sia proprio come Gesù lo fa conoscere. Ci sconcerta la misericordia di Dio, la sua pazienza nell’attendere, la sua tenacia nel cercarmi, la sua ostinazione per la libertà dei suoi figli.
Gesù rivela il cuore compassionevole di Dio, che non ha limiti ed è più grande del cuore umano; il suo vangelo è l’annunzio del dono di nuovi occhi e nuovi sguardi per accogliere la misericordia senza limiti di Dio e avviarsi sul sentiero del suo amore. Di quale reazione è capace la mia mente e ancor più il mio cuore? Mi scandalizza questo volto di Dio, offusca la mia fede o, al contrario, converte la mia vita ad una gioia nuova perché mi fa sperimentare che l’abraccio della misericordia di Dio è ricolto a tutti e sempre il suo cuore si intenerisce per ogni figlio che da qualsiasi lontananza è ritrovato e reintegrato nel cuore del padre?
Gesù per dire e fare questo si è sporcato le mani, si è profondamente accostato a tutti gli uomini, in tutte le situazioni è entrato per proporre questo volto di Dio; la sua stessa storia, il suo vissuto tra di noi non è che la traduzione del cuore di Dio che ama. Anche di fronte al cuore dell’uomo che stenta ad entrare in questa logica, legato ai propri schemi e al proprio modo di vedere e giudicare Dio stesso, anche a costoro Gesù con ostinazione annunzia la buona notizia, anche sulla croce grida amore, misericordia e perdono.
Dio vuole creare relazioni inedite con l’uomo, non lo lascia mai nelle situazioni in cui lo trova; la prima cosa che vorrebbe far maturare in noi è proprio il desiderio di incontrarlo, in una ricerca umile e forte, vera; una ricerca che spinge a pensarlo Altro, sempre al di là, più grande di noi, persino delle nostre idee e immaginazioni.
Incantati da una libertà fine a se stessa, abbandoniamo la casa del padre per cercare ‘altrove’ la nostra felicità, fuori da quell’unica relazione che invece riempie il cuore di gioia e di vita. Andare via di casa equivale a tagliare ogni legame, un volersi fare da sé e per sé, un cercare fuori di sé quello che invece va trovato solo nella profondità. Tutte le storie che passano da questa scelta finiscono poi coll’incontrare la decadenza dei propri sogni, la fragilità dei propri bisogni, la pesantezza della propria solitudine e la schiavitù delle proprie tirannie. Il figlio della parabola finisce a mendicare, a fare il guardiano dei porci, degradato nella miseria in cui ha ridotto la sua vita.
Anche l’altro figlio è lontano dal cuore del padre, anche lui imprigionato in un amore che è semplice freno di contenimento morale, esercizio di un fare che è privo di animo, di passione, di vita perché senza amore.
Il padre attende di abbracciare entrambi, prepara la festa per entrambi i figli, amati in modo unico e totale, cercati ognuno nel proprio abisso di lontananza, pronto a correre loro incontro in un abraccio tenero e profondo. Il Padre divide i beni, vede, rispetta la libertà dei figli e ne ha compassione, corre loro incontro, abbraccia, bacia, perdona, veste il figlio con i simboli della libertà, fa festa. La sua gioia intima e profonda è sofferta, egli non nega le tenebre ma sceglie di non vivere in esse, anzi lui stesso vuole offrire il calore del suo amore che è per sempre.
Di fronte allo’ scatto’ di Dio che mi viene incontro per abbracciarmi non c’è da restare indifferenti, insensibili, anche se mi scopro lontano da questo volto Dio che il vangelo oggi rivela. L’allontanamento oggi può divenire l’inizio di una relazione nuova col Padre, nell’amore e nella gratuità; l’allontanamento che ha generato vuoto e aridità, oggi invoca comunione e comunicazione, può condurre a scoprire un volto nuovo di Dio e in lui la gioia della felicità.
Dio vuole ricominciare con noi ogni giorno, nonostante tutto. Ogni nuovo inizio è un’espressione di Pasqua. Sapremo correre verso questo abbraccio del Padre?